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Vendita immobile per acquisire liquidità da destinare ad attività d’impresa e rischio atto in frode ai creditori

Il sale and lease back è un contratto inteso a soddisfare la specifica esigenza di potenziare i fattori produttivi di natura finanziaria ottenendo immediatezza liquidità, mediante l’alienazione di un suo bene strumentale – e quindi, di norma, funzionale da un determinato assetto produttivo e pertanto non agevolmente collocabile sul mercato, e dunque un contratto almeno idealmente inteso a sostenere l’attività d’impresa, piuttosto che depauperarla. Il sale and lease back, in caso di successivo fallimento, non è automaticamente atto in frode ai creditori. La frode ai creditori deve essere dimostrata in concreto (nella specie, la Corte ha sottolineato che la cessione di un immobile per acquisire liquidità da destinare ad attività d’impresa non è, automaticamente, atto in frode ai creditori essendo, anche, modalità di finanziamento dell’attività di impresa).
Cassazione civile sez. III – 13/09/2023, n. 26415
Fonte: Diritto & Giustizia 2023, 18 settembre (nota di: Emanuele Bruno)

Ammissione al passivo per risarcimento danni

In tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, l’articolo 96, secondo comma, n. 3, legge fall. «deve essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte di una sentenza non passata in giudicato e pronunciata prima della dichiarazione di fallimento» (Cass. n. 11362/2018; Cass. n. 11741/2024).

Pertanto, «anche nel caso in cui i crediti vantati nei confronti del soggetto, poi fallito, abbiano formato oggetto di domanda di accertamento negativo da parte del debitore e tale domanda sia stata rigettata, il creditore può essere ammesso al passivo sulla base della sentenza di rigetto, a lui favorevole, la quale equivale ad una sentenza di accertamento del credito».

Ne consegue che «se il creditore ottiene una sentenza di condanna del debitore (o, comunque, una sentenza di accertamento del credito, anche emessa in reiezione di un’azione di accertamento negativo esperita dal debitore) prima che si apra, nei confronti di quest’ultimo, una procedura concorsuale, egli, sulla base di tale sentenza, pur soggetta ad impugnazione, deve essere ammesso al passivo con riserva, ai sensi dell’art.96, secondo comma, n. 3, legge fall., mentre il curatore può proporre l’impugnazione o proseguirla se era già stata proposta dalla parte in bonis, non determinandosi, pertanto, l’improcedibilità della domanda».
Fonte: Diritto e Giustizia.it, Cass. civ., sez. III, ord., 21 giugno 2024, n. 17154

Del danno subito dall’acquirente di un immobile venduto da persona fallita risponde il notaio

Il notaio, avendo l’obbligo di accertare la capacità legale di contrarre delle parti dell’atto rogando, è responsabile del danno patito dall’acquirente di un immobile venduto da persona già dichiarata fallita al momento della stipula, a meno che non dimostri che nemmeno con l’uso della diligenza professionale da lui esigibile avrebbe potuto accertare l’esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento.
Cassazione civile sez. III, 13/09/2023, n.26448 Fonte: Giustizia Civile Massimario 2023

Contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell’asta pubblica e atto di aggiudicazione

Nei contratti stipulati dalla P.A. con il sistema dell’asta pubblica, l’atto di aggiudicazione – che deve essere trasfuso in un apposito processo verbale che tiene luogo del contratto – rappresenta un atto di accertamento dell’avvenuta formazione dell’accordo in virtù dell’incontro della proposta dell’amministrazione contenuta nel bando, e costituente proposta al pubblico ai sensi dell’art. 1336 c.c., con quella del miglior offerente. Perché l’effetto traslativo della proprietà dell’immobile possa prodursi già nel momento della redazione del verbale di aggiudicazione occorre, tuttavia, che il bando si riferisca ad un bene esattamente individuato, altrimenti verificandosi il trasferimento, ex art. 1376 c.c., solo al momento della stipula, in favore dell’acquirente-aggiudicatario, del susseguente rogito, in cui le parti manifestano legittimamente il reciproco consenso in relazione al bene effettivamente venduto mediante l’asta, con l’esatta e integrale indicazione di tutti i suoi estremi.
Cassazione civile sez. II, 26/05/2021, n.14592

Rito societario ed erronea applicazione delle regole procedurali

Anche nell’ambito dell’abrogato “rito societario” trova applicazione il principio secondo il quale l’erronea applicazione delle regole procedurali non può pregiudicare o aggravare in modo non proporzionato l’accertamento del diritto, sicché dall’adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di gravame, a meno che l’errore non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte. (Nella specie, la S.C. ha escluso che la mancanza dell’avvertimento di cui all’art. 163, n. 7, c.p.c., nella citazione notificata sul presupposto dell’applicabilità del rito societario – secondo il ricorrente erroneamente seguito dal giudice di merito -, avesse comportato un reale pregiudizio al convenuto, poiché non risultavano essere state proposte domande riconvenzionali e le eventuali eccezioni non rilevabili d’ufficio, come quella di incompetenza, potevano essere sollevate fino alla seconda memoria difensiva, ex art. 7, comma 1, d.lgs. n. 5 del 2003).

Soglia importo minimo dichiarazione di fallimento e istruttoria prefallimentare

Con l’ordinanza n. 17216/21, depositata il 16 giugno 2021 la Suprema Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte d’Appello di Napoli che rigettava il reclamo interposto da una S.r.l. per inattendibilità dei bilanci e omessa tenuta delle scritture contabili avverso la sentenza che ne aveva dichiarato il fallimento.
La società (fallita) ricorre in Cassazione, lamentando il fatto che il fallimento sia stato dichiarato nonostante il debito della società fosse inferiore alla soglia minima di 30.000 euro prevista dall’art. 15 l.fall.
Il ricorso è fondato, in quanto la Corte d’Appello avrebbe erroneamente acquisito unicamente il bilancio di liquidazione della società nel quale i debiti risultavano esigibili entro 12 mesi. La Corte di Cassazione infatti afferma che per accertare il superamento della soglia ostativa alla dichiarazione di fallimento, si deve far riferimento al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare e accertati alla data in cui il Tribunale decide sull’istanza di fallimento. Il mancato superamento di tale limite non è oggetto di un onere probatorio a carico della società fallenda, ma deve essere riscontrato d’ufficio dal Tribunale sulla base del contenuto degli atti dell’istruttoria prefallimentare, con la conseguenza che ogni eventuale incertezza in merito al ricorrere di tale condizione impedisce la dichiarazione di fallimento. Poiché il debito contratto dalla società ammontava a poco più di 3.500 euro, pertanto, doveva escludersi che nel corso dell’istruttoria prefallimentare fosse emersa la prova dell’esistenza di debiti scaduti e non pagati per un ammontare superiore a 30.000 euro, né tale prova poteva essere tratta da circostanze emerse in data successiva alla sentenza dichiarativa del fallimento.
Per questi motivi, la Corte cassa la sentenza impugnata e revoca il fallimento della società.
Fonte: www.dirittoegiustizia.it

Di seguito il contenuto integrale dell’ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, 24 febbraio – 16 giugno 2021, n. 17216
Presidente Cristiano – Relatore Caradonna

Rilevato che:

  1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 23.12.2016, ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18 proposto da (omissis) s.r.l. in liquidazione avverso la sentenza del Tribunale di Benevento dichiarativa del suo fallimento.
    La corte del merito ha, in primo luogo, escluso che C. , non costituitasi nel procedimento prefallimentare, avesse fornito prova di non essere assoggettabile a fallimento ai sensi della L. Fall., art. 1, atteso che i bilanci dalla stessa depositati risultavano inattendibili, sulla scorta di plurimi riscontri, e che inoltre la società, dopo essersi posta in liquidazione nel 2013, non aveva più tenuto le scritture contabili ed aveva omesso di presentare le dichiarazioni obbligatorie degli anni di imposta 2014 – 2015; quindi, premesso che non le era precluso di compiere l’accertamento omesso dal tribunale in ordine al superamento delle soglia minima di indebitamento di cui alla L. Fall., art. 15, la corte ha osservato che, benché il credito del creditore istante ammontasse a soli Euro 3.957,50, doveva ritenersi provato, anche all’esito dell’ulteriore istruttoria svolta in sede di reclamo, che i debiti entro i dodici mesi, per complessivi Euro 375.784, esposti nel bilancio dell’esercizio 2013 di (omissis) (prodotto dal creditore nel procedimento prefallimentare), fossero scaduti quantomeno in parte, avendo il curatore dato atto nella sua relazione che quello ivi emergente, di Euro 35.675, 34, nei confronti del creditore (omissis) s.r.l., era stato riportato invariato anche nel bilancio del 2014 e nel libro giornale del 2015.
    (omissis) s.r.l., in liquidazione, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a tre motivi.
    Il Fallimento e il creditore istante non hanno svolto difese.

Considerato che:

  1. Con il primo motivo (omissis) lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 1, comma 2, per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto che difettasse la prova dell’esistenza dei presupposti dimensionali per il suo esonero dal fallimento.
  2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 15, u.c., lamentando che il fallimento sia stato dichiarato nonostante il credito dell’istante fosse inferiore alla soglia minima di Euro 30.000 indicata dalla norma; rileva, al riguardo che la corte del merito ha, contraddittoriamente, ritenuto inattendibili i bilanci ai fini della prova richiesta ai sensi della L. Fall., art. 1, per poi tener conto dei debiti in essi riportati, peraltro senza considerare che quelli esposti nell’esercizio 2013 erano indicati come “esigibili – entro (o) oltre – l’esercizio successivo”, sicché non potevano considerarsi scaduti e non pagati.
  3. Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 5 e, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello omesso ogni indagine in ordine alla sussistenza dello stato di insolvenza.
  4. Stante la sua priorità sul piano logico giuridico, e in ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida” (Cass. Sez. U., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9936), va data precedenza all’esame del secondo motivo, che è fondato e deve essere accolto.
    4.1. La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, per accertare il superamento della soglia ostativa alla dichiarazione di fallimento di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., si deve avere riguardo al complesso dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell’istruttoria prefallimentare (Cass., 14 novembre 2017, n. 26926; Cass., 19 luglio 2016, n. 14727) e accertati alla data in cui il tribunale decide sull’istanza di fallimento (Cass., 27 maggio 2015, n. 10952).
    La norma, espressione di un intento deflattivo, è stata dettata dal legislatore al fine di esentare dal concorso le crisi d’impresa di modeste dimensioni oggettive: l’esigenza che alla data del fallimento consti un’esposizione debitoria di almeno 30.000 Euro si configura, infatti, alla stregua di una condizione per la dichiarazione del fallimento e non di un fatto impeditivo, sicché il mancato superamento di tale limite non è oggetto di un onere probatorio a carico del fallendo, a mente dell’art. 2697 c.c., comma 2, ma deve essere riscontrato d’ufficio dal tribunale sulla base del complessivo contenuto degli atti dell’istruttoria prefallimentare. Ne consegue che ogni eventuale incertezza in merito al ricorrere di questa condizione, non risolvibile sulla base dagli atti dell’istruttoria prefallimentare, impedisce la declaratoria di fallimento (Cass., 25 giugno 2018, n. 16683).
    4.2 La corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi sopra richiamati.
    In sede prefallimentare era stato, infatti, acquisito unicamente il bilancio di liquidazione della società, relativo all’esercizio 2013, nel quale – come accertato dallo stesso giudice del merito – i debiti appostati risultavano esigibili entro dodici mesi. Poiché il debito contratto da (omissis) nei confronti del creditore istante ammontava a poco più di 3.500 Euro, doveva dunque escludersi che nel corso dell’istruttoria prefallimentare fosse emersa la prova dell’esistenza di debiti scaduti e non pagati dalla società per un ammontare superiore ai 30.000 Euro. Nè tale prova poteva essere tratta, secondo quanto erroneamente ritenuto dai giudici del reclamo, da circostanze pacificamente emerse solo in data successiva alla sentenza dichiarativa, in quanto accertate dal curatore.
    Pertanto, in difetto della condizione di cui alla L. Fall., art. 15, u.c., il fallimento di (omissis) in liquidazione non poteva essere dichiarato.
    Accolto il secondo motivo del ricorso, e dichiarati assorbiti il primo e il terzo, la sentenza impugnata va cassata.
    Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, ex art. 384 c.p.c.; va quindi accolto il reclamo e, per l’effetto, va revocato il fallimento della società (omissis) s.r.l., in liquidazione, con sede in (omissis) , dichiarato con sentenza del Tribunale di Benevento n. 74/2016 del 15 luglio 2016.
    Tenuto conto che la ricorrente ha ingiustificatamente omesso di difendersi nel corso dell’istruttoria prefallimentare e che nè il creditore istante (non costituitosi neppure in sede di reclamo), nè il curatore hanno insistito per ottenere il rigetto del ricorso, le spese del giudizio di merito e del presente giudizio di legittimità vanno dichiarate interamente compensate fra le parti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti il primo e il terzo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, in accoglimento del reclamo proposto da (omissis) s.r.l. in liquidazione, revoca il fallimento della società dichiarato con sentenza del Tribunale di Benevento del 15 luglio 2016; compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio di merito e di questo giudizio di legittimità.