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Archivio per categoria Legal Blog

Esproprio, calcolo indennità di occupazione

Cassazione civile sez. I, 07/11/2024, n.28688
Il criterio per determinare l’indennità di occupazione varia a seconda del tipo di immobile. Per le aree agricole, l’indennità è fissata in un dodicesimo dell’indennità di esproprio per ogni anno di occupazione. Per gli altri immobili, si applica la disciplina generale che prevede che l’indennità di occupazione sia proporzionale all’indennità di esproprio e sia liquidata in base a una percentuale legata al saggio degli interessi legali.
Fonte: Sapient-IA testo creato da A.I. generativa e validato da GFL 2024
Conforme a Cass. Civ., sez. I, 12/04/2002, n. 5271

Cassazione civile sez. I, 12/04/2002, n.5271
In tema di indennità di occupazione, il criterio dettato dall’art. 20, comma 3, l. 22 ottobre 1971 n. 865 (che fissa detta indennità in un dodicesimo dell’indennità di esproprio per ogni anno di occupazione) conserva residuo margine di applicabilità – a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di cui alla sent. n. 5 del 1980 – per le sole aree agricole; per gli altri immobili, ed in assenza di peculiari disposizioni che fissino diversi criteri, vale la disciplina generale prevista dall’art. 72, comma 4, l. 25 giugno 1865 n. 2359, in base alla quale all’immobile va attribuito il medesimo valore per la determinazione tanto dell’indennità di occupazione quanto di quella per la sua successiva espropriazione e la prima deve essere liquidata in misura corrispondente ad una percentuale, legittimamente riferibile al saggio degli interessi legali, dell’indennità che sarebbe dovuta per l’espropriazione dell’area occupata.
Fonte: Giust. civ. Mass. 2002, 633, Riv. giur. edilizia 2002, I, 896

Fondo patrimoniale non opponibile nella divisione e nel pignoramento di immobile in comproprietà

Nella procedura esecutiva, allorquando un bene sia in comproprietà e non comodamente divisibile, è possibile disporre la divisione al fine di soddisfare gli scopi dell’esecuzione.

In tema di divisione endoesecutiva, la divisione è lo strumento per consentire la realizzazione degli scopi dell’esecuzione, ovvero la soddisfazione del procedente e degli intervenuti. Pertanto laddove il bene pignorato in quota non sia comodamente divisibile, se il fondo non è opponibile al creditore nella procedura esecutiva, non lo è neppure in sede di divisione. Dopo l’udienza ex art. 600 c.p.c., il creditore ha l’onere di promuovere quindi il giudizio di divisione e laddove il bene non sia comodamente divisibile, si procederà alla vendita dell’intero immobile, posto che il fondo patrimoniale se può essere, in astratto, ostativo all’espropriazione del bene da parte dei creditori, ostativo non è e non può essere all’esercizio del diritto allo scioglimento della comunione da parte dei comproprietari o dei creditori.
Fonte: Redazione Giuffrè 2023 – Tribunale Ascoli Piceno, 10/01/2023, n. 4

Emissioni sonore e rumori, tutela salute e rapporti vicinato

I criteri dettati dall’art. 4 del DPCM del 14 novembre 1997, nell’ambito della legge quadro n. 447/1995 in tema di inquinamento acustico, attengono al superamento dei valori limite differenziali di immissione di rumore nell’esercizio o nell’impiego di sorgente di emissioni sonore, e sono volti a proteggere la salute pubblica prevedendo, in caso di violazione, un illecito amministrativo.

Nei rapporti tra privati, invece, vige la disciplina dell’art. 844 c.c., che, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle stesse (ex multis, Cass. n. 6223/2002).

Ne consegue che «i parametri dettati dall’art.4 del DPCM del 14 novembre 1997 sono volti a proteggere la salute pubblica mentre, nei rapporti tra privati, vige la disciplina dell’art. 844 c.c., che, nel fissare i criteri a cui il giudice di merito deve attenersi, rimette al suo prudente apprezzamento il giudizio sulla tollerabilità delle immissioni; tale giudizio non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti».
Fonte: Dirittoegiustizia.it – Cass. civ., sez. II, ord., 31 luglio 2024, n. 21479

Furto cassetta sicurezza in banca: onere probatorio, responsabilità e caso fortuito

Sul risarcimento danno per furto in cassetta di sicurezza: onere probatorio attenuato in capo al cliente.
In materia di onere della prova nell’ipotesi di domande risarcitorie da furto nelle cassette di sicurezza, si delinea una sorta di onere della prova attenuato, per il creditore danneggiato, in ragione della natura del contratto, in particolare in considerazione del fatto che il contenuto di una cassetta di sicurezza costituisce una circostanza di fatto generalmente non divulgata, attesa la prioritaria esigenza di riservatezza che caratterizza la scelta di questo tipo di servizio bancario, per cui sovviene la necessità di ricorso alle deposizioni degli stretti familiari e di non sottovalutare o ignorare, specie se coerenti con l’insieme dei riscontri probatori, elementi di fatto quali la denuncia penale, sol perché di provenienza unilaterale. Corte appello Torino sez. III, 10/11/2020, n.1105. Fonte: Redazione Giuffrè 2020



Sulla responsabilità dell’istituto bancario quale custode.
L’obbligazione gravante sull’istituto bancario quale custode delle cassette di sicurezza si configura in termini particolarmente stringenti. L’art. 1839 c.c. dispone che nel servizio delle cassette di sicurezza la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito della cui prova è onerata la banca stessa, non essendo sufficiente a tal fine la dimostrazione di aver agito con diligenza delineando la norma in commento una presunzione di responsabilità in capo alla banca vincibile solo con la prova della ricorrenza di un evento straordinario, imprevedibile ed eccezionale. Questo, per opinione condivisa, non è integrato dal furto, trattandosi di avvenimento non definibile come “straordinario” poichè è, invece, proprio in relazione ad esso che può dirsi essere stato ideato l’istituto delle cassette di sicurezza (avendo la banca la possibilità di organizzare e mettere a disposizione dei clienti, a fronte della controprestazione consistente nel pagamento da parte di costoro di un canone, sistemi di sicurezza per la custodia di beni di valore superiori a quelli realizzabili da un privato), non potendosi perciò stesso considerare detto avvenimento come “straordinario” nell’ottica di un istituto bancario. Tribunale Pistoia, 30/04/2020, n.262. Fonte: Redazione Giuffrè 2020

Sulla responsabilità contrattuale della banca per la custodia delle cassette di sicurezza: il furto non è sussumibile nella esimente del caso fortuito.
La responsabilità contrattuale della banca per la custodia delle cassette di sicurezza è stabilita dall’art. 1839 c.c., secondo cui la banca risponde per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito; il furto, tuttavia, non è sussumibile nel concetto di caso fortuito e ciò perché trattasi di un evento sicuramente prevedibile in considerazione della stessa natura della prestazione dedotta nel contratto. Tribunale Torino sez. I, 01/08/2019, n.3824. Fonte: Redazione Giuffrè 2019

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Usucapione e fallimento

In tema di usucapione di un bene immobile, il possesso ad usucapionem è una situazione fattuale che non viene interrotta dall’apertura della procedura concorsuale, né è impedita dal disposto degli articoli 42 e 45 della legge fallimentare; dunque, la pronunzia della sentenza dichiarativa del fallimento e la sua trascrizione exarticolo 88 della legge fallimentare sono inidonee ad interrompere il tempo per l’acquisto del diritto di proprietà, conseguendo l’interruzione del possesso solo all’azione del curatore tesa al recupero del bene mediante spossessamento del soggetto usucapente, nelle forme e nei modi prescritti dagli articoli 1165 e 1167 del Cc.
Cassazione civile sez. I – 08/09/2023, n. 26152 Fonte: Guida al diritto 2023, 42

Vendita immobile per acquisire liquidità da destinare ad attività d’impresa e rischio atto in frode ai creditori

Il sale and lease back è un contratto inteso a soddisfare la specifica esigenza di potenziare i fattori produttivi di natura finanziaria ottenendo immediatezza liquidità, mediante l’alienazione di un suo bene strumentale – e quindi, di norma, funzionale da un determinato assetto produttivo e pertanto non agevolmente collocabile sul mercato, e dunque un contratto almeno idealmente inteso a sostenere l’attività d’impresa, piuttosto che depauperarla. Il sale and lease back, in caso di successivo fallimento, non è automaticamente atto in frode ai creditori. La frode ai creditori deve essere dimostrata in concreto (nella specie, la Corte ha sottolineato che la cessione di un immobile per acquisire liquidità da destinare ad attività d’impresa non è, automaticamente, atto in frode ai creditori essendo, anche, modalità di finanziamento dell’attività di impresa).
Cassazione civile sez. III – 13/09/2023, n. 26415
Fonte: Diritto & Giustizia 2023, 18 settembre (nota di: Emanuele Bruno)

Ammissione al passivo per risarcimento danni

In tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, l’articolo 96, secondo comma, n. 3, legge fall. «deve essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte di una sentenza non passata in giudicato e pronunciata prima della dichiarazione di fallimento» (Cass. n. 11362/2018; Cass. n. 11741/2024).

Pertanto, «anche nel caso in cui i crediti vantati nei confronti del soggetto, poi fallito, abbiano formato oggetto di domanda di accertamento negativo da parte del debitore e tale domanda sia stata rigettata, il creditore può essere ammesso al passivo sulla base della sentenza di rigetto, a lui favorevole, la quale equivale ad una sentenza di accertamento del credito».

Ne consegue che «se il creditore ottiene una sentenza di condanna del debitore (o, comunque, una sentenza di accertamento del credito, anche emessa in reiezione di un’azione di accertamento negativo esperita dal debitore) prima che si apra, nei confronti di quest’ultimo, una procedura concorsuale, egli, sulla base di tale sentenza, pur soggetta ad impugnazione, deve essere ammesso al passivo con riserva, ai sensi dell’art.96, secondo comma, n. 3, legge fall., mentre il curatore può proporre l’impugnazione o proseguirla se era già stata proposta dalla parte in bonis, non determinandosi, pertanto, l’improcedibilità della domanda».
Fonte: Diritto e Giustizia.it, Cass. civ., sez. III, ord., 21 giugno 2024, n. 17154

Del danno subito dall’acquirente di un immobile venduto da persona fallita risponde il notaio

Il notaio, avendo l’obbligo di accertare la capacità legale di contrarre delle parti dell’atto rogando, è responsabile del danno patito dall’acquirente di un immobile venduto da persona già dichiarata fallita al momento della stipula, a meno che non dimostri che nemmeno con l’uso della diligenza professionale da lui esigibile avrebbe potuto accertare l’esistenza della sentenza dichiarativa di fallimento.
Cassazione civile sez. III, 13/09/2023, n.26448 Fonte: Giustizia Civile Massimario 2023

Responsabilità della stazione appaltante in caso di fallimento dell’appaltatore

In caso di fallimento dell’appaltatore, la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante riguarda solo i casi in cui il contratto di appalto è ancora in corso con un’impresa solvibile, ma non si applica se il fallimento ha portato allo scioglimento del contratto. Il subappaltatore, dunque, è considerato un creditore concorsuale e non ha diritto alla prededuzione, ma ha diritto a essere soddisfatto nel rispetto delle regole di concorso dei creditori e degli ordini di prelazione. 
Cassazione civile sez. I, 08/05/2024, n.12477 Fonte: GenIA-L testo creato da A.I. generativa e validato da GFL 2024

L’accettazione della somma offerta dall’assicurazione non esclude il rimborso delle spese legali

In tema di risarcimento diretto dei danni derivanti da incidente stradale, il Dpr 18 luglio 2006, n. 254, articolo 9, comma 2, emanato in attuazione del Dlgs 7 settembre 2005, n. 209, articolo 150, comma 1, il quale, per l’ipotesi di accettazione della somma offerta dall’impresa di assicurazione, esclude che siano dovuti al danneggiato i compensi di assistenza professionale diversi da quelli medico-legali per i danni alla persona, si interpreta nel senso che sono comunque dovute le spese di assistenza legale sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore.
Cassazione civile sez. III, 07/09/2023, n.26103 Fonte: Guida al diritto 2023, 42